La Campagna d'Italia

Breve storia dell’intervento Italiano nella Seconda Guerra Mondiale

Il dittatore fascista Mussolini trascinò l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale al fianco delle potenze dell’Asse, Germania e Giappone, con la dichiarazione di guerra del 10 giugno1940 contro gli Alleati, guidati da Francia e Gran Bretagna.

Il “gigante dormiente”, gli Stati Uniti d’America, entrò nel secondo conflitto mondiale il 7 dicembre 1941, in risposta all’attacco giapponese a Pearl Harbor.
La Germania e l’Italia, alleate del Giappone nell’Asse tripartito, dichiararono guerra agli USA l’11 dicembre 1941. Da questa data l’Italia e gli USA furono formalmente in guerra.

Mussolini, posto in difficoltà dalle avverse vicende belliche, messo in minoranza dai fascisti nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, fu fatto arrestare dal re Vittorio Emanuele III. Caduto il Fascismo, si formò un nuovo governo guidato da Pietro Badoglio, che trattò l’armistizio con gli anglo-americani. L’8 settembre 1943 venne pubblicamente annunciato l’armistizio: il re e il governo si trasferirono da Roma a Brindisi, lasciando le forze militari italiane allo sbando e senza guida, di fatto favorendo l’opera delle forze tedesche, passate repentinamente da alleate degli italiani a forze di occupazione.

Il 12 settembre 1943 Hitler intervenne per liberare Mussolini dalla prigionia e porlo alla guida della Repubblica Sociale Italiana (RSI), fondata il 17 settembre 1943 nel nord Italia, a supporto delle truppe di occupazione naziste che controllavano ancora la parte non libera della penisola.

Dopo l'8 settembre 1943 la Resistenza si organizzò sotto la guida del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), raccogliendo partigiani, cittadini e militari che decisero di non aderire alla forze nazi-fasciste della RSI, cooperando con le forze Alleate.

Le motivazioni che spinsero gli Alleati ad aprire un fronte in Italia

Il 9 maggio 1943 le forze italiane e quelle tedesche dell’Afrika Corps, strette d’assedio a Tunisi, si arresero alle forze alleate.

L’avventura africana dell’Asse fallì definitivamente: la via per l’India e le risorse petrolifere del medio oriente si tramutarono in un miraggio per l’Alto comando nazista. Non fu facile raggiungere questo obiettivo, le sorti della presenza dell’Impero britannico in Nord Africa erano state messe duramente alla prova e le prime esperienze di combattimento per l’inesperto esercito statunitense non erano state incoraggianti.

Tra gli Alleati gli interessi e le opinioni su come continuare la guerra erano in netto contrasto. La Gran Bretagna, guidata da Churchill, era fermamente convinta dell’utilità di aprire al più presto un secondo fronte in Italia, fiduciosa in una rapida capitolazione dell’Italia fascista, il più importante alleato della Germania nazista.

Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt a Casablanca

Durante la conferenza di Casablanca nel gennaio 1943 , gli Stati Uniti più che accettare questa teoria cedettero di fronte all’insistenza dell’alleato, sperando nella fondatezza della fiducia britannica.
Secondo l’amministrazione USA le ingenti risorse disponibili, in ogni modo limitate rispetto alla situazione, dovevano essere concentrate sul teatro Europeo (l’Italia faceva parte del teatro delle operazioni del Mediterraneo), verso la maggiore minaccia contro cui la nazione si era mobilitata: la Germania nazista di Hitler. Gli Stati Uniti combattevano un’altra guerra sanguinosa nel teatro del Pacifico contro il Giappone, in cui lo sforzo della Gran Bretagna era limitato. Il timore diffuso era che non sarebbe stato possibile affrontare operazioni minori impiegando le minime risorse possibili, rischiando di compromettere operazioni per obiettivi più importanti.
Per gli Stati Uniti era di vitale importanza aprire un fronte in Europa, per bilanciare il peso delle armate naziste che l’Unione Sovietica, da sola, era costretta a sopportare e per mantenere la promessa fatta a Stalin. La maggior parte delle forze tedesche era impegnata ad est, nuove armi e incrementate risorse umane e materiali rischiavano di dare nuovo impeto alle azioni dell’Asse.

La Gran Bretagna esprimeva la medesima intenzione dell’alleato statunitense, ma la visione temporale di cui era capace Churchill andava oltre la fine della guerra. Nel 1943 non si poteva aiutare l’Unione Sovietica invadendo l’Europa e quindi, secondo l’opinione britannica, era più utile impegnare le forze nemiche in operazioni minori in Italia. Si può ritenere che l’interesse della Gran Bretagna ad iniziare un’operazione in Italia oltre la Sicilia era mosso anche dalla volontà di risalire al più presto la penisola, al fine di muoversi ad est e raggiungere, o bloccare, l’avanzata dell’Armata Rossa in Europa Centrale? Altre proposte britanniche, come lo sbarco nei Balcani, sembrano suggerire quest’ipotesi. Churchill non trovò nel presidente Roosvelt un interlocutore attento ai problemi degli equilibri strategici e politici del dopoguerra e della gestione dei rapporti con l’alleato sovietico.

Queste divergenze non furono mai ricomposte tra i comandi statunitensi e britannici ed incisero negativamente sul corso degli eventi. In Italia s’instaurò spesso uno spirito di competizione e di diffidenza più che di cooperazione tra i contingenti delle diverse nazionalità. Con il passare dei mesi, la facile avventura nella penisola si dimostrò un tragico errore e negli americani si rinforzò l’impressione di essere stati trascinati, controvoglia, a combattere in un teatro poco importante e svantaggioso.

Altre operazioni in corso o in preparazione come l’invasione dell’Europa, programmata per il 1943 e poi rimandata al 1944, erano più importanti, specialmente considerando i costi umani e materiali in rapporto agli obiettivi raggiungibili. Inoltre, la frustrazione per gli scarsi progressi ottenuti in Italia e la sfiducia nelle possibilità di successo della campagna, fece sì che venisse attribuita bassa priorità ai rinforzi e ai rifornimenti diretti alle unità operanti in Italia, aggravando la situazione sul campo. L’opinione pubblica fu spesso indotta a ritenere la campagna d’Italia come un’avventura, una facile impresa sulla scia dei successi iniziali in Africa settentrionale, non percependo appieno la tragedia che si stava compiendo.

L’opinione pubblica dei paesi Alleati non era particolarmente interessata alle operazioni in Italia, tanto che lo sbarco in Normandia, avvenuto il 6 giugno 1944 e due giorni dopo la liberazione di Roma, catturò l’interesse generale, monopolizzandolo. Ciò ebbe un forte impatto psicologico sui soldati, soprattutto sugli americani, che percepivano di essere considerati come combattenti di una guerra di seconda classe, il cui sacrificio non poteva portare a nulla di utile. Questo sentimento fu così radicato e diffuso che la campagna d’Italia viene ricordata come la “guerra dimenticata”.

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